Fisiopatologia
Riserva funzionale linfatica
Per effetto dei diversi meccanismi suddetti, l’attività linfatica basale può aumentare di 10-12 volte. La differenza tra la massima capacità linfatica di trasporto e l’attività linfatica basale rappresenta la cosiddetta riserva funzionale linfatica. Questa riserva funge da margine di sicurezza contro la formazione dell’edema.
Tale margine di sicurezza è stato calcolato essere di circa 17 mmHg (7 mmHg di pressione negativa interstiziale, 6 mmHg di aumento di rimozione dei fluidi e 4 mmHg per aumento della rimozione delle proteine).
L’edema clinico si crea, cioè, quando tale margine di sicurezza viene superato, ossia quando la pressione idrostatica capillare media supera i 34 mmHg (17 mmHg di pressione normale + 17 mmHg del margine di sicurezza), oppure quando la pressione oncotica ematica scende sotto 11 mmHg (28 mmHg di pressione oncotica normale – 17 mmHg del margine di sicurezza) pari a una protidemia < 3,3 g % (albuminemia <2 g%).
Insufficienza linfatica
In condizioni fisiologiche il flusso linfatico si adatta perfettamente al carico linfatico, ossia al volume di liquido interstiziale da drenare.
In diverse situazioni patologiche si può creare un sovraccarico di fluidi a livello interstiziale, che non determina tuttavia la comparsa clinica di edema per l’incremento compensatorio dell’attività linfatica.
Quando tuttavia il carico linfatico supera la capacità linfatica massima si determina un accumulo di liquidi a livello interstiziale: si crea quindi una condizione definita insufficienza linfatica dinamica o insufficienza ad alto flusso linfatico.
Edema ad alto flusso linfatico e ipoproteico.
In questa condizione il sistema linfatico è del tutto normale, e, anzi, la sua portata è molto più elevata rispetto alle condizioni basali.
Le condizioni che conducono ad un edema ad alto flusso linfatico sono quelle quindi in cui il carico linfatico risulta molto aumentato, al punto di superare la capacità massima della portata linfatica. La riserva linfatica è in grado di compensare un aumento della pressione idrostatica capillare media fino a 17 mmHg.
Queste condizioni sono legate alla rottura dell’equilibrio delle forze pressorie che agiscono ai lati della barriera emato-tissutale, ossia sull’equilibrio di Starling.
La prima condizione che può portare ad un incremento del carico linfatico è quella in cui si determina un aumento della pressione idrostatica capillare con aumento della filtrazione e riduzione del riassorbimento ematico e conseguente incremento dei fluidi che rimangono a livello interstiziale.
La situazioni patologiche che possono sviluppare questa condizione sono:
Ipertensione venosa, caratteristica delle fasi di scompenso delle diverse malattie venose, dalla malattia varicosa primitiva, alla trombosi venosa e conseguente sindrome post-trombotica, fino all’insufficienza venosa funzionale. In questo caso aumenta soprattutto la pressione venosa al lato venulare capillare. L’edema che ne risulta è localizzato alla regione distale dell’arto affetto alla patologia;
Reazioni allergiche e flogistiche: l’attivazione dei diversi mediatori dell’infiammazione determina una dilatazione arteriolare e una costrizione venulare, con conseguente aumento della pressione idrostatica nel letto capillare. In questa condizione si crea un edema tipicamente strettamente localizzato nella sede del fenomeno allergico o flogistico (eruzione orticarioide o pomfo allergico);
Gravidanza: il fisiologico aumento del volume vascolare può determinare una condizione di incremento della pressione capillare, che determina un edema diffuso, anche se più evidente agli arti inferiori.
Altre situazioni portano invece all’incremento del carico linfatico per riduzione della pressione oncotica capillare. In questa situazione la pressione transmurale si sposta globalmente verso l’interstizio, determinando un aumento del carico linfatico. La riserva linfatica è in grado di compensare fino a una riduzione della protidemia totale di 3,3 gr/dl o fino ad una albuminemia di 2 gr/dl. L’edema che deriva da queste condizioni è ovviamente diffuso a tutto il corpo.
La situazioni patologiche che possono sviluppare questa condizione sono:
Riduzione dell’apporto proteico dall’esterno: questa condizione è legata spesso a patologie debilitanti croniche, che giungono fino alla cachessia o a condizioni di digiuno prolungato, come nel caso di malattie psichiatriche come l’anoressia;
Riduzione della sintesi proteica; presente nelle condizioni di insufficienza epatica grave;
Ridotto assorbimento proteico gastro-intestinale, come si ha in caso di gastrite atrofica, di insufficienza pancreatica o nelle altre condizioni di malassorbimento intestinale;
Aumentata perdita di proteine, che può avvenire sia a livello renale, in caso di insufficienza renale grave o di sindrome nefrosica con proteinuria superiore a 3 gr/die, sia a livello gastroenterico, in caso di gastroenteropatie protido-disperdenti, sia a livello cutaneo, in caso di vaste ustioni o dermopatie essudanti.
Tutte queste condizioni, legate ad un aumento della pressione idrostatica capillare o ad una riduzione della pressione oncotica capillare, sono quindi caratterizzate da una alterazione dell’equilibrio di Starling, che conduce all’aumento del carico linfatico interstiziale. Tale sovraccarico linfatico viene compensato dall’aumento della portata linfatica, che aumenta fino alla sua capacità massimale. Solo quando si raggiunge uno squilibrio tra carico linfatico e capacità linfatica massima si determina la creazione di una condizione di edema interstiziale, ossia un accumulo fisico di fluidi nella matrice interstiziale. L’accumulo di fluidi a livello interstiziale determina l’incremento della pressione interstiziale, che da negativa diviene positiva, provocando una completa alterazione dell’impalcatura connettivale. La pressione negativa del liquido interstiziale infatti, creando un vuoto parziale, fa sì che tutte le strutture interstiziali restino compatte; l’edema ne provoca invece lo scollamento, determinando un’alterazione del drenaggio linfatico iniziale ed ostacola la diffusione delle sostanze nutritive per incremento della distanza emato-cellulare.
L’edema rappresenta quindi una condizione di scompenso funzionale, che può rapidamente evolvere verso un danno tissutale organico.
L’edema ad alto flusso linfatico è caratterizzato da una elevata portata linfatica; poiché il ruolo principale del sistema linfatico è quello di trasportare la componente proteica dei fluidi interstiziali, l’edema che si viene a formare è caratterizzato da una concentrazione proteica normale o addirittura ridotta rispetto a quella dei fluidi interstiziali fisiologici.
L’edema viene quindi definito ad alto flusso linfatico e ipoproteico.
Edema ad alto flusso linfaticoeiperproteico.
Esistono altre condizioni in cui, nonostante l’elevato flusso linfatico, l’edema che si forma è a concentrazione proteica elevata. Sono le condizioni in cui la patologia di base determina, oltre ad una modificazione delle forze dell’equilibrio di Starling, anche una alterazione della permeabilità capillare.
In questi casi un danno della parete capillare permette la fuoriuscita verso l’interstizio di grandi quantità di proteine plasmatiche o addirittura di cellule ematiche. L’aumento della portata linfatica non è sufficiente a compensare questa “inondazione” e si crea un edema ad alto flusso linfatico ma iperproteico.
Le situazioni patologiche che possono determinare un aumento della permeabilità capillare sono:
Condizioni flogistiche acute: artriti, artropatie croniche degenerative in fase infiammatoria acuta, dermatiti eczematose, ecc.;
Condizioni immunologiche: collagenopatie;
Danni diretti: ustioni, traumi contusivi, ecc.;
Reazioni allergiche: reazioni orticarioidi, ecc.;
Grave ipossia tissutale: arteriopatie periferiche in fase di ischemia critica.
Edema a basso flusso linfatico e iperproteico.
Le situazioni in cui il carico linfatico è normale, ma risulta alterata la portata linfatica basale viene definita insufficienza linfatica meccanica.
In questa situazione il sistema linfatico, alterato in maniera primitiva o secondaria, non è in grado di svolgere la sua funzione fisiologica, per cui non è in grado di riassorbire neppure quella quantità di fluidi interstiziali che fisiologicamente si forma come conseguenza dell’equilibrio di Starling.
Questa situazione è quindi caratterizzata da un ridotto flusso linfatico e, quindi, da una elevata concentrazione proteica interstiziale.
Questo caso viene generalmente meglio identificato come linfedema.
Esistono inoltre alcune condizioni cliniche, frequentemente osservabili, in cui una insufficienza linfatica dinamica si associa ad una insufficienza venosa.
Flebo-linfedema ab initio
Esistono due condizioni cliniche molto frequenti in cui sono presenti una riduzione della funzione venosa e della funzione linfatica in maniera contemporanea:
Edema cardiogeno: l’insufficienza di pompa del cuore destro determina, per aumento della pressione venosa centrale, un ostacolo contemporaneo sia al deflusso venoso sia al deflusso linfatico. In questa situazione si associa quindi l’aumento del carico linfatico per l’elevazione della pressione venosa centrale alla riduzione del riassorbimento linfatico. Da un punto di vista istochimica, l’edema, pur essendo a basso flusso linfatico, è ipoproteico. Clinicamente interessa prevalentemente gli arti inferiori (edema declive) e si accompagna ai classici segni di scompenso cardiaco (turgescenza delle vene giugulari in semi-ortostatismo, epatomegalia, dispnea per sforzi lievi, ortopnea obbligata).
Edema da non uso: l’assenza del tono muscolare e del fisiologico stimolo nervoso, classico di molte condizioni neurologiche (emi- o paraplegie), determinano una contemporanea perdita della funzione venosa per mancata attivazione della pompa muscolare del piede-polpaccio e della fisiologica contrattilità spontanea linfatica per linfangioparalisi. Ne deriva, anche in questo caso, un flebo-linfedema declive.
Infine va sottolineata l’esistenza di edemi legati ad una modificazione strutturale della matrice interstiziale, non legata a modificazioni delle forze di Starling o della funzione linfatica, come gli edemi che accompagnano diverse situazioni disendocrine, il lipoedema, ecc.
Linfedema da sovraccarico
Quando una insufficienza linfatica dinamica viene mantenuta per molto tempo, il sistema linfatico sovraccaricato va incontro a un progressivo deterioramento,per effetto di fenomeni di sclerosi che colpiscono le pareti dei collettori, con riduzione della funzione linfatica. Si crea quindi una condizione di insufficienza linfatica meccanica secondaria al sovraccarico.
Esempio emblematico di questa condizione è l’insufficienza venosa cronica, in cui, inizialmente, si forma un edema per l’insufficienza linfatica dinamica, caratterizzata da un alto flusso linfatico e da una ridotta concentrazione proteica interstiziale. Se l’insufficienza non viene corretta con le opportune terapie, il sovraccarico prolungato sul sistema linfatico determina un aggravamento dell’edema e lo sviluppo di una insufficienza linfatica meccanica, con aumento della concentrazione proteica interstiziale.
In linea teorica qualsiasi altra condizione clinica, oltre all’insufficienza venosa, che comporti una insufficienza linfatica dinamica, con alto flusso linfatico, potrebbe determinare nel tempo un linfedema da insufficienza linfatica da sovraccarico. Nella realtà clinica le condizioni patologiche sistemiche (cardiache, gastroenteriche, epatiche o renali) se non vengono corrette adeguatamente portano ad un deterioramento organico ben prima di determinare l’insorgenza di una insufficienza linfatica meccanica.
Evoluzione clinica del linfedema
Come detto, il linfedema è caratterizzato da un edema a basso flusso linfatico e iperproteico.
E’ proprio questa elevata concentrazione proteica interstiziale che condiziona la caratteristica storia evolutiva del linfedema.
L’accumulo di proteine interstiziali, unitamente alla disfunzione immunitaria loco-regionale determinata dalla ridotta attività del sistema linfatico, porta allo sviluppo di una condizione infiammatoria cronica che, a sua volta, attiva una serie di reazioni a catena, che conducono ad una evoluzione verso lo sviluppo di una fibrosi tissutale progressiva.
Eziopatogenesi
Il linfedema viene classificato in primitivo e secondario.
Linfedema primitivo
Il linfedema primitivo è determinato da un’alterazione anatomica costituzionale del sistema linfatico e può essere determinato da:
Assenza o riduzione dei canali tissutali;
Alterazione dei filamenti di ancoraggio sub endoteliali;
Lesioni parietali dei capillari linfatici o dei precollettori;
Mancanza di competenza delle strutture valvolari linfatiche;
Riduzione (ipoplasia) o assenza (aplasia) dei collettori linfatici;
Aumento di numero ed ectasia (iperplasia) dei collettori linfatici con reflusso linfatico;
Riduzione, assenza o sclerosi linfonodale;
Linfangiospasmo;
Linfangioparalisi.
La condizione più frequente è l’ipoplasia linfatica (80% dei casi di linfedema primitivo). Meno frequenti l’ectasia linfatica (5%) e la sclerosi linfonodale (15%).
Il linfedema primitivo viene suddiviso in:
Una forma familiare (10%), in cui si distinguono una forma congenita detta di Nonne-Milroy (esordio del linfedema alla nascita) ed una forma tardiva detta sindrome di Meige (esordio del linfedema dopo pochi anni dalla nascita);
Una forma sporadica (90%), a sua volta suddivisa in una forma congenita (esordio del linfedema alla nascita), una forma precoce (esordio entro i 35 anni di età) ed una forma tardiva (esordio del linfedema oltre i 35 anni di età).
Il linfedema primitivo colpisce prevalentemente il sesso femminile (rapporto maschi/femmine 1/7) ed interessa gli arti inferiori, in maniera unilaterale nel 50% dei casi, bilaterale simmetrica nel 25% dei casi e bilaterale con prevalenza dell’edema in un arto nel 25% dei casi. L’età di picco di comparsa è intorno ai 17 anni, ma con una notevole variabilità (il 30% dei casi presenta un esordio clinico dai 15 ai 30 anni).
La modalità di comparsa è spesso improvvisa, solo nel 30% dei casi è individuabile un fattore scatenante; la sede di comparsa dell’edema è distale, dal dorso del piede l’edema coinvolge in modo progressivo le regioni più prossimali, solitamente limitandosi al di sotto del ginocchio.
Linfedema secondario
Il linfedema secondario è conseguente ad un danno od ostruzione delle vie linfatiche determinato da diverse cause esterne:
Da traumi fisici o chimici;
Da infestazioni
Da infezioni
Da cause iatrogene
Farmaci
Lesione chirurgica
Linfadenectomia
Radioterapia
Da cause neoplastiche
Linfedema post-traumatico
Dopo un trauma di tipo fisico (trauma contusivo, distorsivo o da taglio, ustione da calore) o di tipo chimico (ustione chimica), si evidenzia immediatamente un edema flogistico, determinato dall’insufficienza linfatica dinamica in presenza di una condizione patologica, con aumento della permeabilità capillare. L’edema che persiste invece nella fase successiva dipende dall’instaurarsi di una insufficienza linfatica meccanica legata al danno subito dal sistema linfatico durante il meccanismo traumatizzante. Un edema recente è perilesionale, dopodiché tende a stabilirsi sulla zona distale alla sede del trauma.
Linfedema da infestazione
E’ il tipo di linfedema più frequente nel mondo: ne sono colpite 120 milioni di persone. E’ determinato da una malattia parassitaria determinata da una infestazione da filaria. Le specie che colpiscono l’uomo sono la Wuchereria Bancrofti e, più raramente, la Brugia Malyi. I nematodi vengono trasmessi attraverso la puntura d’insetti che presentano un tropismo selettivo per il sistema linfatico.
E’ una malattia endemica in alcune regioni del mondo, comprese tra i due Tropici, tra le latitudini 20° Nord e 20° Sud (Sud-est asiatico: India, Cina orientale, Indonesia, Vietnam, Laos, Thailandia, Malesia; Africa: Senegal, Mozambico; Sud-America: Caraibi, Panama, Brasile). Il nematode viene trasmesso attraverso la puntura di una zanzara, la Culex Fatigans, presente anche nelle nostre regioni.
Le filarie, lunghe fino a 10 cm, si localizzano nei vasi linfatici e nei linfonodi, dove sopravvivono anche per 15 anni. La reazione granulomatosa che si sviluppa oblitera i vasi linfatici e i linfonodi, determinando la comparsa del linfedema, che può raggiungere stadi mostruosi (cosiddetta elefantiasi da filariosi, che colpisce gli arti inferiori e la regione genitale).
Ciclo della Filaria (Wuchereria Bancrofti)
Le femmine adulte della filaria sono localizzate nei linfatici e nei linfonodi, da dove riversano nel circolo sanguigno le microfilarie; queste vengono ingerite dalla zanzara durante la puntura, attraversano la parete intestinale e crescono nel torace dell’insetto subendo due mute; la forma infestante delle larve si forma in circa 10 giorni, passa nell’apparato buccale dell’insetto e viene iniettata nell’uomo attraverso la puntura; le larve dal circolo ematico si localizzano nella rete linfatica dove maturano a maschi e femmine adulte in circa un anno.
La diagnosi si effettua mediante il riscontro del parassita nella biopsia linfonodale e linfatica, o con la dimostrazione delle microfilarie nel sangue circolante prelevato nelle ore notturne, o più indirettamente con l’indagine sierologica. La terapia si avvale dell’ Ivermectin in prima scelta e, in alternativa, della dietilcarbamazina. Nel nostro Paese i casi sono legati ai flussi immigratori.
Linfedema post-infettivo (forme acute)
Molto più frequente nelle nostre regioni, rispetto a quello da infestazione, è il linfedema conseguente ad infezioni. Si distinguono forme acute e forme croniche.
Gli agenti etiologici più frequentemente coinvolti sono gli streptococchi beta-emolitici e, in minor misura, gli stafilococchi. Da lesioni cutanee minime penetra il germe, che entra nei linfatici iniziali proliferando all’interno di essi e disseminandosi lungo gli stessi. Il quadro clinico locale è variabile da:
Una forma di linfangite tronculare, dove si evidenzia un’area eritematosa e dolente lineare che, dal punto di ingresso dei germi, segue prossimalmente il decorso dei collettori linfatici superficiali;
Una condizione di linfangite radicolare in cui è presente un eritema accompagnato da un edema diffuso dell’arto;
Erisipela, caratterizzata dalla formazione di una placca eritematosa e fortemente dolente, netta e rilevata rispetto alla cute circostante, spesso complicata dalla presenza di aree necrotiche e lesioni bollose, e circondata da un’area edematosa. Il quadro locale è completato dal quadro sistemico,che spesso si sviluppa ancor prima che l’infezione si renda evidente nel sito di inoculazione dei microrganismi: dapprima compare un lieve malessere generalizzato, talora con turbe gastroenteriche (nausea e vomito), a cui fa seguito nel giro di poche ore la febbre con brividi scuotenti, che spesso raggiunge livelli molto elevati (oltre 41° C); sempre evidente la tumefazione dolente dei linfonodi alla radice dell’arto colpito.
Tali condizioni vengono oggi ricomprese in un unico quadro clinico, con diverse forme, definite dermatolinfangioadenite.
Le dermatolinfangioadeniti (DLA) nel 5% dei casi insorgono a seguito di ferite gravi e nel 75% dei casi per piccole ferite. Nel 20% dei casi non sono evidenziabili ferite per cui si deve ipotizzare lesione non traumatica (es. micosi o macerazione interdigitale) o una migrazione batterica da focolai lontani (es. tonsillari, vescicali, ecc.). La dermatolinfangioadenite può presentarsi in episodi occasionali, recidivanti o subentranti ad intervalli di tempo molto brevi.
Il trattamento deve essere antibiotico, instaurato il più precocemente possibile: ampicillina o amoxicillina come prima scelta e macrolidi come seconda scelta devono essere utilizzati a dosaggio pieno e per almeno 8-10 giorni. In caso di quadri recidivanti e subentranti può essere utilizzata la diamminocillina a 1200000 U, 1 fiala intramuscolare ogni tre settimane per sei mesi. Le lesioni non trattate possono evolvere verso una sepsi generalizzata, mentre un trattamento corretto determina una rapida risoluzione del quadro clinico generale, ma lascia spesso segni cutanei e linfedema.
Le dermatolinfangioadeniti possono sia causare il linfedema, sia rappresentarne una complicanza. La stasi linfatica e la disfunzione immunitaria locale favoriscono infatti, in caso di penetrazione batterica, la rapida evoluzione del quadro. L’incidenza è proporzionale allo stadio evolutivo della malattia (1% al I stadio, 27% al II stadio, 72% al III stadio).
Linfedema post-infettivo (Forme croniche)
Le forme croniche di infezione si distinguono dalle forme acute per lo scarso coinvolgimento sistemico e la minore intensità o assenza del dolore.
Il quadro più comune nella popolazione generale è quello da Sporothrix Schenkii, un fungo presente in alcune piante e in certi tipi di humus adoperati nel giardinaggio. L’infezione fa seguito a una lesione minima, quale la puntura di una spina di rosa o di un ago di conifera su un dito o sulla mano. Nella sede di inoculazione compare un nodulo cutaneo eritematoso, che evolve spesso verso un’ulcerazione cutanea, non responsiva ai comuni antibiotici: segue poi la comparsa di multipli noduli sottocutanei lungo il decorso delle vie linfatiche prossimali. Il trattamento si basa sull’uso di itraconazolo.
Un altro quadro di infezione cronica è dovuto al Mycobacterium Marinum, un micobatterio atipico che cresce a temperature comprese tra 25° e 35° C all’interno di acquari per pesci tropicali e piscine. La lesione iniziale si presenta come un nodulo verrucoide o un’ulcera nella sede di inoculazione, per lo più in prossimità del gomito. La lesione è di solito unica, ma occasionalmente possono accompagnarsi ad essa lesioni nodulari analoghe, con la stessa distribuzione descritta precedentemente. La diagnosi si basa sul riscontro microscopico diretto di bacilli alcol-acido-resistenti e sull’isolamento di M. marinum. Molto importante, ai fini diagnostici, il dato anamnestico. La terapia è chirurgica escissionale o medica, con l’associazione di rifampicina ed etambutolo.
Linfedema iatrogeno
Da farmaci: diversi farmaci possono indurre la comparsa di edema prevalentemente localizzato agli arti inferiori: tra i più noti i calcio-antagonisti, i corticosteroidei, gli estrogeni.
Post-chirurgico: in occasione di alcuni tipi di intervento è possibile che vengano recisi collettori linfatici, determinando quindi la comparsa di un linfedema distale. Gli interventi che possono più frequentemente portare a tale situazione sono: gli interventi di safenectomia, il prelievo della vena safena interna alla gamba per il confezionamento di by-pass aortocoronarici, interventi di chirurgia plastica alla regione mediale di coscia.
Da terapia radiante: il danno tissutale secondario a una terapia radiante può coinvolgere anche le vie linfatiche o le strutture linfonodali, determinando un linfedema nella sede dell’irradiazione e distalmente ad essa.
Linfedema oncologico
Nel linfedema post-oncologico il danno delle vie linfatiche è determinato dall’intervento chirurgico di linfadenectomia o dai trattamenti radianti eseguiti come terapia di base della malattia neoplastica.
La frequenza di linfedema secondario a linfadenectomia oncologica è del 20% circa per la dissezione ascellare (neoplasie della mammella, melanomi) e del 15-40%per la dissezione inguino-addomino-pelvica (neoplasie ginecologiche, prostata, vescica, melanomi e sarcomi).
In caso di associazione con terapia complementare la percentuale si eleva fino al 40% per l’arto superiore e fino al 60% per l’arto inferiore.
Il linfedema secondario a trattamenti radio-chirurgici oncologici più frequenti è il linfedema dell’arto superiore, secondario a trattamenti per tumori della mammella (cosiddetto linfedema o “braccio grosso” post-mastectomia).
Il infedema dell’arto superiore può insorgere da subito dopo l’intervento fino a molti anni dopo (nel 70% dei casi insorge entro i due anni).
La frequenza di insorgenza è del 20-30% in caso di linfoadenectomia ascellare, che diviene del 35-40% in caso di radioterapia complementare dell’ascella. Le tecniche chirurgiche più conservative e la tecnica del linfonodo sentinella riducono molto (al 4-5% circa) ma non eliminano la comparsa di linfedema dell’arto superiore.
I fattori di rischio che sono stati individuati nella comparsa del linfedema dell’arto superiore sono:
Problemi post-operatori: deiscenza o infezione della ferita, sieroma.
Numero di linfonodi ascellari asportati (> 15).
Radioterapia complementare: torace e ascella.
Linfedema evolutivo o “maligno”
Il linfedema può insorgere come primo segno di malattia neoplastica. La propagazione intralinfatica della neoplasia o la compressione estrinseca da parte della neoplasia sulle vie linfatiche o sulle strutture linfonodali o venose può determinare un blocco funzionale linfatico con comparsa di linfedema. Questo tipo di linfedema presenta alcune caratteristiche cliniche peculiari:
Dolore importante, ingravescente e continuo: è il primo e più importante segno del linfedema maligno.
Comparsa o aggravamento improvviso e rapido del linfedema, con particolare tendenza all’accentuazione prossimale e all’estensione al quadrante confinante (torace, addome).
Danno progressivo al plesso nervoso con paralisi.
Comparsa di reticoli venosi superficiali, ecchimosi, discromie cutanee, noduli cutanei o sotto-cutanei localizzati all’arto o al torace/addome.
Ipertermia locale.
Tumefazioni visibili o masse palpabili in sede ascellare o sovraclaveare.
Significato analogo assume un linfedema dell’arto superiore o inferiore clinicamente stabile per lungo tempo, che improvvisamente assume le caratteristiche descritte. In questi casi il paziente deve essere immediatamente inviato ad una valutazione oncologica.
Meccanismi di compenso nel linfedema “da blocco”
In caso di danno linfatico si attivano una serie di eventi.
In una prima fase, in cui è presente una condizione di ipertensione linfatica, la linfa viene drenata secondo percorsi ortogradi attraverso vie linfatiche principali residue verso i linfonodi superstiti:
Tentativo di rigenerazione linfatica (efficace solo su interruzioni linfatiche di piccole dimensioni)
Drenaggio su vie collaterali fisiologiche o su vie del plesso epifasciale (collettori dello stesso territorio linfatico prossimalmente al danno)
Quando tali meccanismi di compenso non riescono a determinare una sufficiente portata linfatica l di fuori dell’arto si crea una condizione di stasi linfatica.
La stasi induce una progressiva dilatazione dei collettori linfatici, fino a determinare una incontinenza degli apparati valvolari, con possibilità dei fluidi linfatici di procedere in senso retrogrado e quindi determinare un reflusso.
La linfa si porta quindi:
Verso i collettori profondi
Verso gli spartiacque linfatici dei territori adiacenti
Verso il plesso sub dermico (dermal back flow)
Questi meccanismi di cmpenso consentono di trasferire la linfa su territori linfatici adiacenti in direzione delle stazioni linfonodali più prossime.
Quando anche questi meccanismi non risultano sufficienti , per ridotta disponibilità costituzionale, per danni successivi (radioterapia, fenomeni infettivi o traumatici) o per esaurimento, si determina una progressiva riduzione della forza di contrazione linfatica. L’esaurimento della funzione linfatica determina un accumulo di fluidi a livello interstiziale, con modificazione in aumento delle forze idrostatiche ed oncotiche interstiziali. Lo sconvolgimento del delicato equilibrio di forze che regolano gli scambi tissutali determina la comparsa del linfedema clinicamente evidente.
Il linfedema compare quindi quando l’organismo ha esaurito tutti i meccanismi di compenso messi in atto dal sistema linfatico, che sono quindi utilizzati fino al massimo delle loro potenzialità.
Classificazione
L’International Society of Lymmphology ha proposto, nel Consensus Document del 2001, una classificazione in tre stadi, molto semplice ma efficace.
Stadio I: edema che scompare spontaneamente con l’elevazione dell’arto.
Stadio II: edema che non scompare spontaneamente con l’elevazione dell’arto e con presenza del segno della fovea
Stadio III: elefantiasi, fovea assente, pachidermie, verrucosi linfostatica.
Gradazione del linfedema
In base al volume dell’arto linfedematoso rispetto al volume dell’arto sano controlaterale, vengono proposte delle gradazioni del linfedema.
L’International Society of Lymmphology ha proposto, sempre nel Consensus Document del 2001, una classificazione in tre stadi:
Minima: < 20%
Moderata: 20-40%
Grave: > 40%
Clinica
La diagnosi di linfedema si basa essenzialmente sugli aspetti clinici.
Anamnesi
In presenza di un paziente con edema agli arti deve essere svolta prima di tutto un’accurata anamnesi generale, per valutare la presenza di condizioni cliniche potenzialmente edemigene o di condizioni che possono interferire con le terapie decongestive.
L’anamnesi familiare deve indagare la presenza di altri casi di edema degli arti o di malattie venose nella famiglia.
L’anamnesi personale deve indagare l’attività lavorativa svolta (ore di lavoro, protratto ortostatismo o posizione seduta), l’attività motoria (tipo di attività e ore quotidiane) e sportiva (tipo di sport e ore di allenamento settimanale). Va richiesto al paziente se ha fatto recenti viaggi all’estero, soprattutto in zone geografiche endemiche per filariosi. Fondamentale richiedere al paziente tutte le terapie farmacologiche assunte con regolarità, in particolare farmaci edemigeni (calcio-antagonisti, cortisonici, estrogeni o altre terapie ormonali, ecc.).
L’anamnesi fisiologica deve porre particolare attenzione al numero di gravidanze, all’attività mestruale, alla diuresi.
L’anamnesi patologica deve ricercare, nella storia clinica del soggetto, la presenza di condizioni internistiche potenzialmente edemigene: dovrà pertanto essere verificata la presenza e l’eventuale stato di compenso di cardiopatie, broncopneumopatie, nefropatie, epatopatie, gastroenteropatie, disendocrinopatie, malattie infettive, osteo-artro-miopatie, neuropatie, trombosi venose o malattia varicosa.
Particolare attenzione dovrà inoltre essere prestata ai pregressi interventi chirurgici subiti dal paziente, così come ai traumatismi importanti. La presenza di arteriopatia ostruttiva periferica, di ipertensione arteriosa, di allergie, va ricercata per escludere condizioni che poterebbero condizionare o limitare la terapia decongestiva.
In caso di pregresso intervento di linfadenectomia oncologica va segnalata:
La neoplasia di base (tipo, dimensioni e sede)
La sede e il tipo di intervento
Le eventuali complicanze post-chirurgiche (sierosi, ecc.)
La sede della linfadenectomia, il numero dei linfonodi asportati e quanti risultati positivi per metastasi
Le terapie complementari svolte, come chemioterapia e radioterapia (numero di sedute, sede e complicanze)
Eventuale terapia in atto
Anamnesi specifica
L’anamnesi specifica dell’edema va svolta con particolare attenzione, specificando:
Data di insorgenza
Sede di insorgenza
Presenza di fattori scatenanti (traumi, viaggi, ferite, punture d’insetto, ecc.)
Evoluzione, estensione, volume e caratteristiche
Modificazioni indotte dal riposo notturno (regressione completa, parziale o assente)
Sintomatologia legata all’edema.
Va inoltre richiesto al paziente se si è già sottoposto a terapie decongestive, specificandone il tipo, il numero e la cadenza delle sedute, il numero di cicli, i risultati ottenuti dai diversi trattamenti, la persistenza nel tempo degli stessi, i trattamenti di mantenimento impostati ed eseguiti, la tolleranza al tutore elastico, se consigliato in precedenza.
Obiettività generale
La visita generale del paziente deve verificare, oltre alla valutazione cardio-vascolare, respiratoria e addominale generale, la presenza di segni di scompenso cardio-circolatorio, dei polsi vascolari periferici, della pressione arteriosa omerale, del trofismo muscolare, della mobilità articolare.
Obiettività specifica
Ispezione
Deve essere valutato il colorito cutaneo (bianco nel linfedema, cianotico nell’edema venoso, arrossato nelle condizioni flogistiche acute), le condizioni trofiche cutanee (stato di idratazione), la presenza (sede ed estensione) di discromie cutanee, di lesioni dermatologiche (dermatiti, dermo-ipodermiti, ipercheratosi, micosi, ecc.), di lesioni ulcerative attive o di esiti cutanei delle stesse, la sede e le caratteristiche (aderente, retraente, ipertrofica) di eventuali cicatrici chirurgiche o traumatiche.
L’aumentata concentrazione proteica interstiziale che caratterizza il linfedema rispetto agli altri tipi di edema comporta una condizione di flogosi cronica, che determina a sua volta una serie di conseguenze cliniche, determinate dallo stimolo alla proliferazione di diversi stipiti cellulari.
La proliferazione delle cellule epidermiche induce lo sviluppo di un progressivo ispessimento dello strato dermico, che può giungere, negli stadi avanzati, a pachidermia, papillomatosi o verrucosi linfostatica, o a ipercheratosi.
La proliferazione di adipoblasti può determinare lo sviluppo di una lipodistrofia, che rende l’edema voluminoso, ma di consistenza molto morbida e non comprimibile.
La proliferazione di melanociti può indurre la presenza di una discromia cutanea o di un colorito brunastro diffuso, che deve essere distinto dalle discromie da stasi, secondarie ad insufficienza venosa cronica.
Palpazione
La proliferazione fibroblastica determina, per effetto dell’accumulo di collagene in quantità eccessiva ed alterato, lo sviluppo di una fibrosi tissutale, particolarmente importante a carico del tessuto sottocutaneo che, negli stadi più avanzati, giunge fino ad una condizione di fibrosclerosi. Dal rapporto tra la fibrosi tissutale e la presenza di fluidi interstiziali liberi dipende il quadro clinico dell’edema.
La valutazione della consistenza tissutale fornisce indicazioni riguardo le condizioni del tessuto: rispetto all’arto controlaterale sano l’arto linfedematoso potrà presentare una consistenza minore (consistenza morbida) nelle condizioni a prevalente componente fluida e scarsa fibrotizzazione tissutale, superiore (consistenza dura) nelle condizioni a prevalente componente fibrotica e scarsa componente fluida, uguale (consistenza media) nelle situazioni intermedie.
Il segno clinico che più frequentemente indica lo sviluppo di una condizione fibrotica è il segno di Stemmer: consiste nel pinzamento della cute della falange prossimale del II dito del piede; il segno è positivo quando l’avvicinamento delle due dita viene impedito dalla perdita di elasticità cutanea indotta dalla fibrosi.
Altri parametri fisici da valutare sono rappresentati dal termo-tatto (freddo nel linfedema, caldo nell’edema venoso e nelle condizioni flogistiche acute) e dalla dolorabilità alla pressione tissutale.
La misurazione del peso corporeo per il calcolo del Body Mass Index è inoltre fondamentale per valutare la situazione evolutiva della patologia di base.
Comprimibilità del linfedema
L’edema consiste nell’accumulo di fluidi interstiziali che inizialmente sono diffusi nel contesto della matrice interstiziale ma, aumentando,tendono a raccogliersi in lacune o laghi linfatici. Le lacune si formano dapprima in sede sottocutanea più profonda, epifasciale, per poi coinvolgere progressivamente gli strati più superficiali, fino a giungere a ridosso del derma.
La condizione dei fluidi liberi interstiziali viene esplorata valutando la comprimibilità tissutale. Il segno della fovea è caratteristico: consiste nell’effettuare con un dito una pressione sulla cute della zona edematosa ed osservarne il comportamento. Il segno è positivo quando si assiste alla formazione di una depressione cutanea che si appiana in maniera più o meno rapida; il segno della fovea positivo indica la presenza di lacune linfatiche in sede sottocutanea (queste infatti, una volta svuotate dalla pressione del dito, impiegano alcuni secondi a riformarsi). Il segno della fovea negativo può invece indicare o la presenza di fluidi interstiziali liberi, non raccolti in lacune (in questo caso i fluidi vengono spostati dalla pressione del dito, ma rientrano immediatamente appena il dito si stacca dalla cute), oppure l’assenza di fluidi in sede interstiziale (in caso di linfedema avanzato, a componente fibrosclerotica).
L’edema interstiziale tende a coinvolgere l’arto in maniera differente a seconda della patologia di base: in caso di patologia edemigena non vascolare l’edema è declive, in caso di insufficienza venosa l’edema è perimalleolare, in caso di linfedema coinvolge anche aree caratteristiche come il dorso del piede e della mano.
Il linfedema iniziale dell’arto superiore può iniziare ed evolvere più rapidamente in corrispondenza di aree dell’arto in cui il sistema linfatico è anatomicamente carente, come alla regione postero-laterale del III prossimale dell’avambraccio o alla regione posteriore del braccio.
L’edema interstiziale può raccogliersi in quantità tali da determinare una deformazione dell’arto, tipica dei gradi avanzati del linfedema: dapprima si assiste a una accentuazione delle pliche cutanee fisiologiche che delimitano gli aumenti di volume dell’arto: nell’arto inferiore divengono evidenti prima alla radice delle dita e poi alla caviglia; si formano poi delle borse cutanee che delimitano dei recessi cutanei patologici, che possono deformare completamente l’arto.
All’interno delle pieghe cutanee fisiologiche accentuate e dei recessi cutanei spesso si creano lesione della cute per la macerazione o per lo sviluppo di micosi.
Nei linfedemi avanzati l’accumulo di fluidi interstiziali insieme alla proliferazione del sistema linfatico può indurre la comparsa di vesciche o cisti linfatiche, di fistole linfatico-cutanee, con abbondante essudazione linfatica o di vere e proprie ulcere linfatiche.
Considerando schematicamente la storia evolutiva del linfedema è possibile comprendere le principali caratteristiche cliniche:
La regressione con il riposo notturno
La consistenza
La comprimibilità.
La comparazione di queste tre caratteristiche consentirà di individuare facilmente lo stadio evolutivo del linfedema.
Storia clinica del linfedema
L’edema compare inizialmente nelle sedi tipiche (regioni distali degli arti nei linfedemi primitivi), al gomito (regione postero-laterale del III prossimale dell’avambraccio e del III distale del braccio) o alla mano nel linfedema secondario a dissezione ascellare, alla regione mediale di coscia nei linfedemi secondari a dissezione inguino-pelvica. Inizialmente l’edema compare solo in occasioni di particolari attività (es. dopo l’uso prolungato del computer, dopo attività domestiche o sportive, dopo un viaggio), ma regredisce spontaneamente con il riposo notturno. Al tatto appare morbido, elastico, domina il quadro la sensazione fastidiosa di tensione alla regione edematosa, che può diventare dolore quando il volume insorge rapidamente o l’edema è notevole.
Lentamente l’edema si estende gradualmente in senso distale e prossimale, fino a coinvolgere tutto l’arto e tende a diventare persistente, ossia perde la capacità di ridursi dopo il riposo notturno. Nel tempo l’edema aumenta progressivamente di volume e di consistenza. Al tatto l’edema appare via via più duro, la pressione di un dito lascia un’impronta (segno della fovea). Il senso di tensione lascia il posto al senso di pesantezza. In questa fase non è presente dolore. Con il tempo l’edema diventa sempre più duro, perde il segno della fovea; la normale morfologia dell’arto viene progressivamente perduta, con formazione di pieghe cutanee. Il peso dell’arto determina un ostacolo alla normale mobilizzazione articolare del gomito e della spalla, con compensi posturali che sono alla base di lesioni osteo-tendineo-muscolari secondarie. La cute tende ad ispessirsi sempre più (pachidermia), può assumere un aspetto verrucoso (papillomatosi linfostatica), si possono formare fistole e vescicole linfo-cutanee con essudazione linfatica. Infine si possono formare ampie e profonde lesioni cutanee (ulcere linfatiche). L’evoluzione è spesso condizionata da infezioni cutanee recidivanti (dermatolinfangioadeniti).